La storia di Colman
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Mi chiamo Colman, e sono un boccale. Sì, avete capito bene: un boccale per bere la birra. Sono uno di quei grossi calici, minuziosamente dipinti, che mi rendono un oggetto particolarmente gradevole a vedersi. Già, sono anche un oggetto d'artigianato artistico. Da collezione. Ve lo dimostro. Ho passato parte della mia vita a contenere birra, e parte a farmi vedere, agghindato in bella mostra, fra gli "oggetti belli" della casa. Va da sé che ho cambiato molte famiglie, molte abitazioni, e anche molte birre.
Sì, lo so cosa state per dirmi: per ogni tipo di birra c'è un bicchiere ideale. E non solo per l'aspetto estetico, no! Ogni birra, bevuta nel suo recipiente ideale, è anche più buona. Perché il volume del bicchiere e la sua conformazione aiutano gli aromi a mescolarsi e spargersi meglio, permettendo a chi beve di valorizzare meglio la birra che sta bevendo. Insomma, è la birra che fa il boccale, e non il contrario. Fatto sta che io sono l'eccezione che conferma la regola. Perché, è vero, la mia forma è un po' "a tulipano", e sono nato per le birre d'abbazia, ad alta fermentazione. Però Rik, l'artigiano che mi ha dato vita, era un tipo un po' particolare, voleva che le sue opere fossero originali, diverse da tutte le altre. Così, a un boccale progettato per un tipo di birra introduceva qualche caratteristica un po' "fuori dal comune". Il risultato? Semplice: ogni "infornata di boccali" prodotta da Rik era una nidiata di pezzi unici. E anch'io - posso dirlo? - sono un pezzo unico.
Rik era una persona fuori dal comune. E infatti vendeva le sue opere in men che non si dica. Non solo boccali, ma anche oggetti di artigianato artistico di vario tipo. Aveva lavorato in varie parti d'Europa, e quando era tornato a casa, in un paese delle Fiandre che si trova tra Anversa e Mechelen, aveva fatto tesoro di tutte queste esperienze. La sua bottega si trovava, appunto, al paese, non distante da un ponte. Chi percorreva questo ponte, o chi si accingeva a transitarvi, passava davanti alla bottega di Rik, a volte ci entrava, e difficilmente ne usciva a mani vuote. Ogni oggetto veniva disposto in bella vista, identificato da una targhetta che conteneva una sigla, con lettere e numeri. Poi, se l'acquirente esprimeva il desiderio di attribuire un nome al manufatto scelto, Rik lo dipingeva al momento, direttamente sull'oggetto. Fu ciò che accadde anche a me, quando un giovane viaggiatore di Bruxelles mi acquistò. La scelta fu lunga e meditata: ero esposto insieme ad altri boccali, di varia grandezza, ognuno con un motivo differente. Siete curiosi, vero, di sapere qual era il disegno che mi caratterizzava? Ve lo dico subito. Due monaci (la mia forma, infatti, ricordava quella dei boccali per la birra d'abbazia) e un ponte, colorato di blu, in omaggio al lungo viadotto che, a Rik, procurava molti clienti, anche occasionali. Il mio primo acquirente (si chiamava Roger) scelse me per un motivo ben semplice: era reduce da un viaggio in Irlanda, dove aveva visitato le terre di San Colombano. Ecco il motivo per cui mi ha chiamato Colman, che significa - appunto - Colombano.
Non vi sto a raccontare la mia storia, le mie peregrinazioni. Ho passato più volte il mare, e ho girato l'Europa. Ho accompagnato bevute nate in cucina, o nella sala di casa, tra chiacchiere sommesse, discorsi importanti o promesse d'amore. Ma ho anche verificato l'esperienza della birreria: gente che parlava, anche ad alta voce, approfondiva nuove conoscenze, talvolta cantava in allegria. Lo sapete, vero? Nel tempo, le birrerie hanno assistito a momenti di vita quotidiana di tante, tante persone. Ma sono state testimoni di eventi storici, positivi e negativi. Aziende, accordi, associazioni ebbero inizio davanti a una birra. Persino la codifica delle regole del gioco del calcio fu sancita all'interno di un pub.
Una tradizione davvero antica, quella di ritrovarsi davanti a una birra. Una consuetudine che viene da molto lontano. La leggenda parla di un leggendario inventore della birra, un re germanico, chiamato Gambrinus, sovrano di "Fiandre e di Bramante". Insomma, un fiammingo - diremmo oggi. Un fiammingo, proprio come me. Questo monarca, secondo un'antica canzone popolare tedesca, avrebbe inventato una nuova ricetta di orzo e malto, portandola al suo popolo e ricevendone, in cambio, duratura gratitudine. Qualcuno sostiene che Gambrinus potrebbe essere identificato con Jan Primis, duca di Brabante, vissuto nel XIII secolo. Naturalmente, in quel periodo la birra esisteva già. Da molti secoli.
È difficile - anzi, impossibile - sapere dove (e da chi) fu inventata la birra (o "cervogia"). Anzi: è praticamente sicuro che questa gustosa bevanda fu scoperta da più persone, in varie parti del mondo. Magari per caso, dopo la fermentazione (spontanea) di una zuppa d'orzo. In ogni caso, molti storici identificano la birra con il "sikaru", bibita già in voga presso i sumeri. O con lo "zythium", prodotto dagli antichi Egizi. Che furono, molto probabilmente, i primi a farne seriamente oggetto di commercio sistematico e di produzione "industriale", dopo che Assiri e Babilonesi avevano perfezionato le tecniche per crearla (in Mesopotamia, però, la birra rimaneva essenzialmente "artigianale").
Altre zone del mondo in cui si hanno antiche testimonianze di consumo di birra sono le Orcadi, Malta, i territori fenici, Creta e l'Irlanda. Presto, la bevanda si estese anche tra le popolazioni celtiche continentali, e divenne molto popolare. Di contro, nei paesi mediterranei si diffuse maggiormente il vino (anche se la birra era conosciuta quasi ovunque: nell'antica Grecia, per esempio, era denominata "vino d'orzo"). Insomma, la "cervogia" era bevuta da tutti. E senza distinzione di classe sociale.
Parlavamo dei Celti continentali, o Galli. Pensate: queste popolazioni amavano la birra, ma erano ghiotte anche di vino. Che forza, penserete voi: quanta gente è appassionata di entrambi i "nettari"! Sì, ma c'era un problema. I Celti producevano la birra, ma non il vino (ciò valeva anche per i Galli che erano stanziati in aree che oggi eccellono nel mondo per la loro produzione enologica, come gli attuali Piemonte, Lombardia e Francia!). I Celti, si diceva, non producevano il vino in prima persona, ma se ne procuravano in grandi quantità. Comprandolo, certo. Ma approvvigionandosi anche in altri modi. Come?
Per farvi un esempio pratico, ora vi racconterò una storia. La storia di come di il re gallico Brenno arrivò a prendere Roma, nel 390 a.C. Perché ve ne parlo proprio qui? Perché la prima causa di questo evento storico furono proprio... birra e vino. Vi ho già detto che i Galli producevano solo la birra, ma erano golosi anche di vino. Fino al punto di accettarlo come "moneta" di pagamento. Anche per i... servizi guerreschi, forniti da soldati di ventura. Proprio le truppe mercenarie celtiche impegnate nell'assedio di Chiusi, nell'antica Etruria, furono stipendiate con barili e barili di vino. A ingaggiarle fu un magistrato, di nome Aruns, che si voleva vendicare contro la moglie e il suo amante (un certo Lucumone) per una relazione extraconiugale. Il resto è noto: la città fu assediata; gli ambasciatori romani accorsi per mediare violarono la neutralità uccidendo un comandante gallico prima di tornare in patria; i Celti chiesero la consegna di questi ambasciatori che, però, grazie all'influenza della loro famiglia, evitarono l'"estradizione" e furono, anzi, eletti tribuni militari; infuriati, i Galli calarono su Roma. Storia conosciuta, questa. Ma avreste mai immaginato che, a originare la presa dell'Urbe, fossero state le abitudini alimentari di un popolo?
Il balzo in avanti nella produzione della birra avvenne, comunque, molti secoli dopo. E, cioè, nel Medioevo. Anche grazie alla diffusione dei Monasteri, sempre all'avanguardia per l'elaborazione di nuove tecniche di coltivazione della terra. Furono i frati (proprio come quelli dipinti sopra la mia pancia) a introdurre un ingrediente molto importante nella ricetta della birra: il luppolo, che iniziò ad aromatizzare la "cervogia" nel VII secolo. Questo nuovo elemento sostituì le misture vegetali (come il gruit), le erbe, le bacche e le spezie, che erano utilizzate in passato per insaporire la birra. Solo in Inghilterra, il luppolo non ebbe fortuna, e fu inserito nelle ricette dopo molti, molti secoli. Anzi: le birre nazionali inglesi, denominate "ale", erano contrapposte a quelle "luppolate"continentali. Che erano chiamate, genericamente, "beer"!
In ogni caso, si cominciarono a promulgare leggi per regolare la produzione della birra, come il vecchio codice Hywc Dda, adottato in Inghilterra all'inizio del XIII secolo, e il "Reinheitsgebot", editto sulla purezza della birra, promulgato dal re di Baviera nel 1516.
Nacquero tipi differenti di birra in varie parti del mondo. E, alle tradizionali ricette basate sulla "fermentazione spontanea" e, soprattutto, sull'"alta fermentazione", si affiancò, nel XIX secolo, anche un nuovo gruppo di birre, chiamate a "bassa fermentazione".
Si arricchiva, dunque, l'orizzonte della "galassia birraia". A chiudere il cerchio furono gli studi compiuti da Louis Pasteur, che chiarirono le dinamiche della fermentazione e il ruolo del lievito. Dalle ricerche del noto chimico e biologo francese nacque la "pastorizzazione" (il riscaldamento a 60° per 20 minuti o a temperatura più alta per un periodo di tempo minore), che consentì alla birra di durare maggiormente nel tempo e di viaggiare liberamente nel mondo. Fu, questo, l'ultimo passo per realizzare la produzione "industriale" della birra.
Produzione industriale... aspettate, so cosa mi state chiedendo. Sì, volete sapere cosa è stato della birra artigianale dopo il XIX secolo. Vi accontento. Semplicemente, si sono create due possibilità per fare la birra, entrambe dagli ottimi risultati. Certo, i procedimenti industriali si sono affermati di più, almeno numericamente, per motivi ben comprensibili. E, con il tempo, hanno oscurato la birra artigianale. Che, però, ha conosciuto una rinascita molto forte, grazie al fenomeno dei "birrifici", locali pubblici in cui è possibile gustare la birra prodotta al loro interno. Solitamente, in questi ambienti si beve la birra "cruda", e cioè non pastorizzata. Insomma, fatta al momento, "just in time", come si direbbe oggi, per essere gustata entro pochi mesi. Uno dei fari europei dei birrifici è Praga, dove questi locali aumentano anno per anno. E si conquistano una buona fetta di mercato.
In ogni caso, il fenomeno - che va di pari passo con la diffusione della cultura del "fai da te", e cioè della birra casalinga - è in piena diffusione in varie parti del mondo. Anche nell'Appennino Pavese. Già, perché è su quei monti, e presso un birrificio, che sono andato ad abitare, dopo lunghe e lunghe peregrinazioni. Ma andiamo con ordine.
Ero a Bruxelles - già, ero proprio tornato a casa dopo aver girato l'Europa. Ma, chissà perché, un giorno, non molto tempo fa, mi ritrovai esposto in una bancarella. In vendita. Il vecchio Colman, dopo averne passate... di cotte e di crude, tornava ai tempi dell'infanzia, schierato con altri boccali che stavano lì, su un banchetto, come un battaglione di soldati pronti al presentat-arm.
Attendere, attendere. Osservare decine e decine di persone passare, guardarmi, andarsene. Finché arrivò il grande momento. Era passato mezzogiorno, e una famiglia si avvicinò a me, dopo aver guardato con molto interesse altri boccali. Fui fissato, esaminato, osservato. Poi, vidi un po' di euro uscire da un portafoglio ed entrare in un altro. Avevo trovato una nuova famiglia.
Mi portarono in un posto, tra i monti. Seppi poi che quella catena si chiamava "Appennino", e che i luoghi in cui ero andato ad abitare avevano assistito alle meravigliose gesta di San Colombano, nei suoi ultimi anni di vita. "Ecco perché mi hanno portato qui", pensai. "Per il mio nome". Ironia della sorte, la casa in cui andai ad abitare (e in cui risiedo tuttora) si trova vicino a un ponte, come la bottega di Rik. E il ponte è dipinto di blu, come quello che è raffigurato accanto ai monaci nel disegno che mi caratterizza. Un ritorno all'infanzia. Una nuova avventura.
Proprio come quella del birrificio che si trova a due passi da casa. Il birrificio "Ponte Blu". Spesso mi portano lì. Sapeste come è bello riassaporare il clima della birreria. Gente che beve, parla, canta, ride, sta insieme. E io ne sono diventato la mascotte. Affacciandomi vedo il ponte, e penso a Rik e alla sua bottega. Chissà quanti boccali come me sono in giro per il mondo. E chissà quanti stanno brindando, in alto, tra un mare di calici e bicchieri.
Io lo sto facendo. Alla salute di tutti voi!